Vantaggi e Criticità della CTU – Aspetti psicologici e relazionali (Parte 2)

 

Oltre ai vantaggi di cui si è parlato nel precedente articolo la consulenza tecnica ha anche diverse criticità che è bene non sottovalutare poiché rappresentano elementi che da un punto di vista tecnico, psicologico e relazionale possono avere un forte impatto sul processo valutativo stesso, sulle parti e sulla vicenda separativa.

 

LE CRITICITÀ

IL CONSULENTE TECNICO E DI PARTE

Gli elementi che possono risultare ostacolanti ad una buona ed utile consulenza risiedono in vari fattori. Primo fra tutti la formazione del consulente a cui il giudice affida l’incarico e quello scelto dal legale o dal cliente come tecnico di parte. Uno tra i più significativi vizi metodologici analizzati da Manacorda già nel 2002 è la non distinzione tra ruolo clinico e ruolo forense. Essere psicologo clinico, psichiatra, neuropsichiatra infantile non rende automaticamente abili a lavorare anche nell’ambito peritale essendo clinico e forense due ambiti per molti aspetti profondamente diversi.

Non dimentichiamo che l’ambito clinico ha a che fare con un disagio e un bisogno da parte del paziente così come anche di una disponibilità di aiuto da parte del professionista: con tali premesse si crea un setting basato di certo su motivazione e collaborazione. Tali presupposti gettano le basi per un clima di lavoro in cui si crea un’alleanza clinico-paziente facilitante il raggiungimento dell’obiettivo: il benessere del paziente stesso. Tale humus fa supporre che il paziente sia sincero, per quanto gli sia possibile nonostante le difese e l’inconscio, in merito a quanto riferito al professionista attraverso la comunicazione verbale all’interno del colloquio.

Un professionista può conoscere in modo approfondito le tecniche e le procedure nell’ambito della cura (clinica) ma non avere la medesima agilità nel muoversi nell’ambito forense che ha presupposti e specificità del tutto differenti. Nella dimensione forense, infatti, mancano sia la motivazione sia il bisogno: i periziandi spesso sono inconsapevoli o negano le loro difficoltà, sono obbligati dal giudice o dalla situazione a fare il percorso valutativo che in realtà eviterebbero volentieri. I periziandi, inoltre, tendono a presentarsi sotto la luce migliore, negando le proprie criticità ed accentuando le mancanze dell’altro: più o meno volontariamente manca quindi la sincerità. Anche per il clinico più esperto diventa quindi molto difficile comprendere come stanno le cose dal solo riferito come, invece, accade nel colloquio clinico in cui ciò che conta è il vissuto del paziente e non c’è la distinzione tra ciò che è vero e ciò che non lo è.

Un accenno doveroso va fatto alla scelta di consulenti che non hanno una formazione specifica in psicologia o neuropsichiatria infantile ed i cui studi, seppur di tutto rispetto, poco hanno a che fare con le dinamiche psicologiche ed interpersonali. Molti di questi professionisti, inoltre, non hanno un ordine professionale di appartenenza: questo elemento può comportare scarsa “sorveglianza” rispetto all’operato del professionista stesso il quale, in caso di contestazioni, non deve fare riferimento alla commissione disciplinare dell’ordine. La presenza di un ordine professionale, inoltre, garantisce la condivisione di linee guida e deontologiche a cui l’iscritto deve attenersi e funge, quindi, da garante.

 

CONDIVISIBILITÀ DELLE CONCLUSIONI

Le conclusioni a cui arriva il consulente devono essere condivisibili: ciò significa che quanto scritto nella relazione peritale deve poter essere rivalutato comprendendone le motivazioni da consulenti ed altri professionisti che saranno coinvolti nel caso in futuro. Ne consegue che “Ogni valutazione clinica e psicosociale con valenza psicoforense che si collega e traduce in decisioni giudiziarie deve essere caratterizzata da requisiti di scientificità sotto il profilo teorico, procedurale e metodologico.  Deve perciò consentire:

  • la falsificazione dei giudizi espressi (si veda Popper ed il principio di falsificabilità);
  • la verificabilità, l’affidabilità e la replicabilità delle tecniche utilizzate, ovvero la probabilità di ottenere i medesimi risultati a partire da riscontri svolti da osservatori diversi.” (Camerini, Volpini, Lopez, 2011).

L’esperto è quindi obbligato ad adottare una metodologia di indagine rigorosa e corretta in modo da rendere il più possibile attendibile e condivisibile il suo parere. Risulta chiaro che non può esistere spazio per il parere personale all’interno di una valutazione peritale e che l’utilizzo di strumenti valutativi (test, questionari ed interviste strutturate) risulta indispensabile al fine di dare fondamento alla valutazione stessa. La consulenza che non viene sostenuta da elementi derivanti dall’indagine testistica rischia di fornire valutazioni soggettive fuorvianti e poco solide su cui poi il giudice emetterà i provvedimenti.

 

DURATA DELLA CONSULENZA

Per vari motivi, non sempre del tutto leciti, le consulenze possono diventare eccessivamente lunghe. Il caso più frequente e lecito che porta a dilazioni temporali è rappresentato da situazioni piuttosto complesse che necessitano di approfondimenti specifici: emerge la necessità di chiedere proroghe proprio per la difficoltà a reperire le informazioni necessarie e utili. I colloqui possono quindi diventare numerosi e le operazioni peritali lunghe. Se i tempi si dilatano eccessivamente le operazioni peritali che si protraggono rischiando di far perdere di “lucidità” ai tecnici i quali arrivano a trovarsi eccessivamente coinvolti nelle dinamiche conflittuali e disfunzionali dei periziandi. Anche l’essere inseriti in un contesto valutativo ed osservativo in modo continuo può creare forti tensioni nei periziandi i quali riversano il malessere anche nella relazione con l’ex partner e con i figli.

 

IL RISPETTO DELLA PROCEDURA

Quanto detto finora ci porta al quarto punto di potenziale criticità: la procedura. Il setting peritale, già complesso per gli elementi di cui sopra, è reso ancor più intricato dal fatto che il Codice di Procedura Civile non prevede alcuna specificità per la consulenza psicologica la quale si trova a dover seguire i medesimi vincoli vigenti per le altre consulenze. Per ovviare a tale lacuna molti ordini professionali hanno redatto linee guida che rendono la procedura di indagine maggiormente “standardizzata”; è anche vero che, a garanzia di una correttezza valutativa, arriva il rispetto del contraddittorio. Risulta fondamentale che il consulente si attenga e si faccia garante del Principio del Contraddittorio evitando contatti diretti con le parti, comunicazioni unilaterali da parte di uno solo dei consulenti e/o degli avvocati, incontri peritali che escludano la presenza dei rappresentanti di entrambe le parti. Il principio del contraddittorio, infatti, garantisce una maggior equidistanza da parte del consulente da entrambi i periziandi. Le “confidenze” che possono invece avvenire quando non si fa attenzione a tali aspetti procedurali importanti possono influenzare il consulente stesso a causa di maggiori contatti unilaterali. Non scordiamo, infatti, che il consulente dovrebbe assumere una posizione di neutralità (con tutti i limiti che tale espressione può avere in questo caso), elemento che non è da ritenersi spontaneo e naturale ma che può essere gestito il più possibile controllando gli effetti di transfert e controtransfert. Ogni periziando si presenta con il fine di risultare il genitore migliore ed è quindi possibile che metta in atto tentativi di manipolazione e simulazione dei confronti del CTU. Il consulente ha, quindi, l’obbligo di tutelarsi e di garantire la propria equidistanza sottraendosi da eventuali manipolazioni.

 

ADEGUATA VALUTAZIONE DELLA VIOLENZA RIFERITA

Una nota dolente sempre più frequente è la mancanza di attenzione alla valutazione dei riferiti riguardanti la presunta presenza di violenza domestica da parte di un genitore sull’altro e/o sui minori. Sempre più spesso, purtroppo, assistiamo alla tendenza a minimizzare i riferiti in merito a tale argomento ed i CTU ma spesso anche i CTP archiviano i racconti che riferiscono violenza come un elemento strutturale delle separazioni conflittuali. Ricordiamo in questa sede che conflittualità e violenza non sono necessariamente la stessa cosa e riportiamo la definizione della UNICEF:

La violenza da parte del partner si riferisce alla violenza perpetrata dal partner o da un ex partner che causi danni fisici, sessuali o psicologici, inclusi l’aggressione fisica, la coercizione sessuale, l’abuso psicologico e i comportamenti controllanti”.

Altra definizione ancor più specifica è la seguente:

Per Intimate Partner Violence si intende ogni forma di violenza fisica, psicologica, sessuale o economica e riguarda soggetti che hanno avuto o si propongono di avere una relazione intima di coppia, sia soggetti che all’interno del nucleo familiare, più o meno allargato, hanno relazioni di carattere parentale o affettivo”.

Particolare attenzione a tale aspetto è doverosa da parte del consulente d’ufficio poiché quando il maltrattamento familiare si protrae per un tempo significativo viene intaccata anche la capacità genitoriale di accudimento e protezione dei figli i quali sono esposti anche a forme di violenza assistita.

Ignorare i riferiti che emergono in CTU da un genitore e/o i minori normalizzando comportamenti disfunzionali significa commettere anche una grave mancanza valutativa su almeno due aspetti spesso presenti nel quesito stesso: le capacità genitoriali e lo stato psicofisico del minore. La medesima attenzione va posta anche alle situazioni in cui i riferiti rispetto all’aggressività dell’ex partner vengono utilizzato come strategia: in questo caso il CTU dovrebbe indagare per comprendere la natura funzionale dei riferiti i quali hanno spesso l’obiettivo di danneggiare l’ex partner ed ottenere l’affidamento o un calendario sbilanciato a proprio favore. Nei casi più gravi tali racconti che riguardo una presunta aggressività dell’ex partner (mai emersa durante l’unione!) vengono riportati anche ai minori nel tentativo di influenzarli nel rapporto con l’altro genitore.

 

AUMENTO DELLA CONFLITTUALITÀ

Ultimo punto critico è l’aumento di conflittualità che può scaturire al termine della consulenza tecnica. Ricordiamo che la CTU ha uno scopo valutativo: ciò significa che non ha e non dovrebbe avere fini terapeutici e/o mediativi. Ci soffermiamo su una distinzione importante tra consulenza valutativa e consulenza trasformativa (o di sostegno): la prima ha l’unico obiettivo di arrivare ad una valutazione dei minori, dei periziandi e della situazione attuale facendo una “fotografia” da fornire al giudice. Nella CTU trasformativa, unitamente alla parte valutativa, si sperimentano interventi da parte del CTU per consentire alcuni miglioramenti. Ciò detto: la conflittualità può aumentare in entrambe le consulenze: nella prima perché i periziandi sono impegnati in una competizione per il Miglior Genitore ed ognuno si sente supportato dalle conclusioni del CTU, nella seconda perché vengono cambiati gli assetti e gli equilibri della famiglia separata in un contesto nel quale spesso i periziandi non riconoscono al CTU l’autorità di poterlo fare. Non tutte le situazioni che il tecnico si trova ad affrontare in consulenza sono adatte ad accogliere sperimentazioni: conflittualità cronica, caratteristiche di personalità dei genitori, ostatività dei legali possono rendere molto complesso per il CTU poter agire in senso trasformativo.

 

CONCLUSIONI

La consulenza tecnica è uno strumento che può risultare molto utile quanto, a volte, controproducente. A garanzia dell’intervento valutativo richiesto dal giudice o dalle parti è importante che vengano rispettati i confini (ed i limiti) di questo strumento. La consulenza non ha scopi terapeutici né deve sfociare in tentativi di mediazione laddove non ci siano i presupposti: lo scopo valutativo crea aspettative nei periziandi e li predispone in un modo specifico. Nel momento in cui vengono fatti interventi non consoni alla situazione valutativa può esserci una reazione di “rigetto” da parte della coppia genitoriale la quale si sente costretta a fare passaggi che non è pronta a fare o che non vuole fare. Ricordiamoci che non tutte le coppie conflittuali sono mediabili.

L’eventuale diminuzione della conflittualità che può verificarsi durante o dopo la consulenza può essere sollecitata dalla consapevolezza che i periziandi raggiungono attraverso le restituzioni dei tecnici, non già con interventi mediativi su cui il CTU, peraltro, può non essere competente.

Al fine di assolvere al dovere di condivisibilità ed oggettività è bene che la CTU venga sostenuta da strumenti testistici opportuni: la psicologia offre ormai numerosissimi strumenti in tal senso e la loro validità non è in discussione essendo già stata provata dalla comunità scientifica. È sempre bene evitare opinioni soggettive che, nell’ambito forense, non possono trovare spazio.

Il rispetto della prassi procedurale è un elemento imprescindibile per la validità stessa della CT ed il suo mancato rispetto può essere causa di annullamento della medesima.

Gli avvocati hanno un ruolo importante nella concretizzazione di una consulenza tecnica all’interno di un procedimento giudiziale e proprio per questo è importante che venga valutata la possibilità effettiva di raggiungere gli obiettivi sperati. A tal proposito la consulenza di uno psicologo esperto in ambito forense può risultare utile per valutare se la CTU è lo strumento adatto e se quelli posti sono obiettivi possibili.

A causa dei costi, dell’impegno e del coinvolgimento dei minori, è bene che si eviti di richiedere una consulenza tecnica al solo scopo di raggiungere un calendario paritario per questioni economiche. Al momento assistiamo ancora alla richiesta di consulenza in situazioni in cui il calendario è piuttosto in equilibro anche se non propriamente paritetico ma che garantisce comunque il mantenimento di rapporti significativi dei minori con il genitore non collocatario. Sapendo che la CTU, come detto in precedenza, nasconde variabili che possono influire anche in senso peggiorativo sulle dinamiche della famiglia separata, è necessario valutare l’effettiva relazione costi-benefici di una eventuale richiesta di consulenza.

Sappiamo che si sta mettendo in discussione l’opportunità di rifarsi alla valutazione delle capacità genitoriali per stabilire l’affidamento, il collocamento e la frequentazione: ci stiamo domandando se è legittimo limitare la frequentazione nel caso in cui un genitore risulti meno adeguato dell’altro. Ad oggi sembra essere più utile considerare la presenza di eventuali comportamenti omissivi tali per cui si possono creare situazioni di pregiudizio per i minori piuttosto che tentare di individuare il genitore migliore tra i due. Le differenze individuali tra i genitori non risultano essere elementi sufficientemente discriminanti se entrambi sono sufficientemente rivolti alla cura dei figli. La CTU dovrebbe appurare se le capacità dei genitori si collocano al di sotto di una soglia critica che stabilisce l’inidoneità ad esercitare pienamente la sua funzione.

 

Si ricorda in questa sede che è sempre opportuno che i clienti che decidono di iniziare una procedura di separazione vengano informati non solo degli aspetti legali ma, soprattutto, delle ripercussioni emotivo-relazionali che tale decisione ed il percorso che ne seguirà avrà su di loro e sui figli. Anche i clienti che sembrano più preparati a questo grande cambiamento si ritrovano spesso a dire “non avevo idea che saremmo arrivati a questo punto”, come a dire che la fase iniziale di valutazione-informazione non li aveva preparati a sufficienza: il legale può essere stato chiaro per le informazioni di sua spettanza e cercato di fornire una lettura psicologica degli scenari futuri possibili. Di certo l’affiancamento di uno psicologo esperto potrà completare in modo maggiormente esaustivo la fase iniziale della presa in carico del caso e fungere da supporto a cliente e legale nel difficile compito di separarsi.