L’attuale liberalizzazione culturale rispetto a separazione, divorzio e famiglie ricomposte è uno degli elementi che crea spesso equivoci nelle persone che prendono in considerazione la possibilità di separarsi o, ancor peggio, in quelle che stanno già vivendo una separazione.
Troppo spesso i separandi riferiscono che non avevano idea che la separazione sarebbe stata un percorso così complesso e tortuoso. Emerge, quindi, uno scarto significativo tra la separazione immaginata e la separazione vissuta che pone le persone in una situazione molto diversa da quella che avevano ipotizzato. Il vissuto è più complesso del previsto cogliendo le persone alla sprovvista e causando difficoltà emotive anche gravi.
A livello socio-culturale viviamo in un’epoca in cui sono scomparsi i “dictact” del passato secondo i quali uomini e donne dovevano trovare una loro collocazione solo ed esclusivamente all’interno di una famiglia la quale sarebbe stata l’unica realtà relazionale possibile. Sembrano parole che descrivono situazioni arcaiche, in realtà si riferiscono a tutto ciò che accadeva prima della legge sul divorzio del 1975. In pochi decenni si è verificato un profondo cambiamento del matrimonio e della famiglia che ha avuto un forte impatto sui singoli e sulla società.
La nuova Legge 55 del maggio 2016 sul divorzio breve ha poi creato l’illusione che separarsi sia facile, breve ed economico: niente di più lontano dalla realtà. L’idea che in pochi mesi si possa non essere più sposati e che si possa quindi andare verso una conclusione veloce di una situazione di coppia problematica ha di certo incentivato il ricorso alla via giuridica/giudiziaria nel fiducioso tentativo di ottenere il massimo in poco tempo.
La nuova legge può garantire la rapidità della separazione solo per ciò che concerne gli aspetti legali del percorso e solo nel caso in cui ci sia pieno accordo tra le parti: quando così non è, invece, il percorso diventa lungo e faticoso, dolorosissimo per i figli di tutte le età. Un elemento non trascurabile è che negli ultimi anni in Italia, a differenza del resto d’Europa (in particolare il nord Europa), si assiste ad una aumento delle separazioni conflittuali, fattore che fornisce importanti dati su come da noi si affronta la vicenda separativa.
A livello psicoaffettivo una separazione, anche quando consensuale, non è mai un processo breve, soprattutto per i minori: è un lutto che necessita dei suoi tempi “fisiologici” per l’elaborazione. Prima di tutto si deve arrivare alla consapevolezza che il rapporto è finito unitamente alla certezza che non può essere recuperato in alcun modo. Per questo è sempre bene, prima di avviarsi verso la separazione, aver fatto almeno un percorso di terapia di coppia in modo da aver tentato ogni strada possibile per la riconciliazione evitando di lasciarsi affascinare dall’idea illusoria del “presto e bene”.
Nella fase successiva è fondamentale negoziare a livello psicologico lo spazio dell’altro genitore: ogni genitore deve prendere atto della presenza dell’altro e rinunciare ad una parte del suo tempo e delle sue modalità (educative, relazionali, affettive) coi figli a favore dell’ex. In seguito inizia il percorso di ridefinizione del Sé al di fuori della coppia: questa è la fase più lunga ed impegnativa perché comporta la scoperta o il recupero di parti autonome che spesso quando si è in coppia non emergono. È necessario ridefinirsi come individuo singolo, che può contare solo su di sé, che deve assolvere alle responsabilità ed alle necessità in piena autonomia, che non è più la stessa persona entrata nella coppia anni prima. Il divorzio psichico corrisponde alla separazione di se stessi dalla personalità e dall’influenza dell’ex partner: si deve re-imparare a vivere senza una persona accanto per arrivare ad essere nuovamente e veramente indipendenti a livello emotivo e psichico (Bohannan, 1973). Se a livello concettuale tale processo sembra allettante e può portare a dirsi “ È proprio ciò che voglio!”, da un punto di vista attuativo è importante considerare che non è una transizione così semplice.
Nelle separazioni conflittuali si assiste spesso alla incapacità di separarsi psicologicamente dall’ex partner per paura di ammettere che è necessario essere autonomi ed imparare nuovamente a stare da soli. Anche la difficoltà di ammettere i propri errori ed i propri limiti gioca un ruolo importantissimo nell’alimentare il conflitto. Continuare a litigare, a fare atti e ricorsi, a portare avanti procedimenti in tribunale ha lo scopo (spesso inconsapevole) di continuare ad essere legati all’ex partner tenendosi lontani da un fronte emotivo che spaventa: il dolore. La rabbia è di certo un’emozione più “comoda” rispetto al dolore. La rabbia è un’emozione attivante che mantiene psicologicamente “carichi” ed attivi, fornisce energia “contro il nemico”, fa sentire di essere dalla parte giusta perché ci si percepisce “vittime del cattivo”: in poche parole quando siamo arrabbiati i cattivi che sbagliano sono gli altri e noi risultiamo ai nostri stessi occhi dalla parte della ragione. Nessun esame di coscienza e nessun ripensamento possono trovare spazio quando siamo molto arrabbiati: riusciamo solo a portare avanti in modo rigido la nostra posizione. Questa è la dinamica tipica delle separazioni conflittuali: persistere nel vedere l’ex come nemico da combattere consente di rimanere legati all’altro ma anche ad un’idea di se stessi in un rapporto che porta grande malessere ma anche il “vantaggio” di non separarsi a livello psichico.
In realtà il passaggio più difficile è proprio ridefinirsi come individuo del tutto autonomo e, a volte, solo. È necessario cambiare non solo le abitudini quotidiane e riadattarle al nuovo stile di vita, ma anche cambiare l’immagine interna che si ha di se stessi ed iniziare un percorso di ri-definizione del Sé con l’obiettivo di scoprire o ri-scoprire parti della personalità sconosciute o dimenticate. Chi si separa dovrebbe anche accettare la difficoltà di tale passaggio riconoscendo che, spesso, l’aggressività che l’ex partner suscita è in realtà una fuga, uno specchietto per le allodole che ha lo scopo di allontanare da ciò che fa paura: l’ammissione del fallimento della coppia e l’incertezza del post-separazione.
Non dimentichiamo che continuare a litigare è spesso un modo per non separarsi: avere sempre in mente l’altro ed essere sempre nella mente dell’altro per tutti i problemi esistenti (soldi, figli, pernottamenti, etc.) è un modo di restare presenti nella relazione anche se in modo negativo e distruttivo. Può essere un modo per non farsi dimenticare e, alla fine, per non lasciare libero l’ex partner definitivamente.
Sarebbe sempre importante prima di iniziare un processo di separazione fare un percorso che aiuti a separarsi in primis dal proprio passato e dalle proprie aspettative, che favorisca la presa di coscienza degli elementi personali che ognuno mette nel fallimento della relazione, che faciliti la elaborazione della rabbia in modo che l’ex non venga visto come la causa di tutto il male e di tutto ciò che non ha funzionato. In tal modo il processo separativo nelle sue fasi più pragmatiche potrebbe di certo essere meno doloroso, costoso e dannoso per tutti, soprattutto per i figli.